Teresa, la mimosa e l’8 marzo

Da dove nasce l’uso della mimosa come simbolo di questa importante giornata? Cosa si nasconde dietro la scelta di un fiore così semplice e “umile” come simbolo delle donne e della lotta per la parità?

Negli ultimi anni, il gesto di donare una mimosa alle donne in occasione dell’8 marzo sta ricevendo diverse critiche, peraltro assolutamente condivisibili. Da un lato, se ne denuncia il carattere ormai commerciale, alla stessa stregua di quanto accade per altre giornate particolari, come San Valentino. Dall’altro, si evidenzia come dietro quelle mimose si finisca per ridurre l’8 marzo ad una giornata di frugale festa, quando dovrebbe essere un momento di riflessione e denuncia per una parità di genere che, a dispetto dei principi costituzionali sanciti più di 75 anni fa, è ancora lungi dall’essere raggiunta anche nel nostro Paese.
Critiche condivisibili, dunque, ma che forse non tengono conto di cosa – e di chi - si celi dietro la scelta della mimosa come simbolo dell’8 marzo.

L’8 marzo in Italia

Celebrata per la prima volta in Italia nel 1922, la Giornata internazionale della Donna non trovò terreno fertile durante il Ventennio fascista: la sua forte connotazione politica e il carattere di occasione di lotta per la parità poco si conciliavano con la cultura maschilista, anzi machista, del regime, che identificava la donna in quell’angelo del focolare, espressione tanto dolce quanto discriminante.
Si dovette attendere il crollo del regime e la fine della guerra perché la Giornata venisse nuovamente celebrata. Era il 1946 e, in un primo momento, si pensò di associarle, come segno floreale, la violetta, già simbolo della sinistra europea.

Teresa Mattei, “quella della mimosa”

A quella prima scelta si opposero diverse rappresentanti dell’UDI, l’Unione Donne Italiane, associazione nata poco tempo prima. E, in particolare, Teresa Mattei, giovane militante comunista, fiera oppositrice del regime fascista, ex partigiana (nome di battaglia “Chicchi”), che di lì a poco sarebbe stata eletta nell’Assemblea costituente, la più giovane delle Ventuno donne che entrarono per la prima volta a Montecitorio.
Al posto della violetta, fiore bello ma troppo caro, Teresa e altre compagne dell’UDI (in primis Rita Montagnana e Teresa Noce, anche loro future Madri costituenti) proposero la mimosa. Si trattava di un fiore che sbocciava ai primi di marzo, costava poco, si trovava dappertutto. Il suo colore giallo simboleggiava la luce, l’energia, la forza. Apparentemente fragile, la sua pianta era in realtà resistente, capace di attecchire ovunque.
E poi – lo ricordò la stessa Teresa Mattei – la mimosa era il fiore donato dai partigiani alle staffette: «Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente».

Teresa, la mimosa e l’Articolo 3

Un fiore che tutte potevano cogliere, che tutte potevano indossare. Un fiore che in qualche modo simboleggiava quella battaglia per la parità che di lì a poco Teresa Mattei avrebbe continuato a combattere nell’Aula di Montecitorio. Teresa partecipò ai lavori dell’Assemblea costituente senza farsi intimidire: con la stessa forza, tenacia, limpida fierezza con cui, anni prima, ancora studentessa, aveva protestato contro un professore venuto a indottrinare i ragazzi sulle leggi razziali appena emanate dal regime.
E pochi giorni dopo l’8 marzo 1947, Teresa intervenne in Aula, con parole che trasformeranno uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, l’articolo 3, da mera affermazione formale di uguaglianza, a programma sostanziale per l’effettivo raggiungimento di quella parità, in ogni angolo e settore della vita pubblica e privata. Queste le sue parole: «È purtroppo ancora radicata nella mentalità corrente una sottovalutazione della donna, fatta un po' di disprezzo e un po' di compatimento […]. Occorre che questo ostacolo sia superato. L'articolo 7 [futuro articolo 3, ndr] ci aiuta, ma esso deve essere accompagnato da una profonda modificazione della mentalità corrente, in ogni sfera, in ogni campo della vita italiana […]. Per questa ragione io torno a proporre che sia migliorata la forma del secondo comma nel seguente modo: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d'ordine economico e sociale che limitano «di fatto» — noi vogliamo che sia aggiunto — la libertà e l'eguaglianza degli individui e impediscono il completo sviluppo della persona umana.

Teresa continuerà a lottare per la piena parità fino alla sua morte, nel 2013. Consapevole che, anche se sancita nero su bianco nella legge fondamentale dello Stato, la battaglia per conquistarla pienamente non era ancora vinta. Lungimiranza, ma anche fiducia. E consapevolezza dei grandi traguardi raggiunti. Come ebbe a dire molti anni dopo l’esperienza nella Costituente: «Ancora oggi a tanti anni di distanza, mi commuovo quando vedo nel giorno della festa della donna tutte le ragazze con un mazzolino di mimosa e penso che tutto il nostro impegno non è stato vano».

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