La nudità

Simboli biblici

La nudità nella Bibbia ha un’ampia gamma di significati che va dall’essere senza vestiti, all’ambito sociale e teologico/cultuale.

L’essere senza vestiti o nudi può essere simbolo di resa di sé stessi, umiliazione, vulnerabilità, senza difesa e senza protezione, in balia degli altri (cfr. Dt 28,48; Ez 23,39; Ap 17,16). In questo senso anche in ambito militare i punti deboli e indifesi di un paese e facilmente conquistabili, erano dette zone nude. La nudità indica anche situazioni di indecenza di cui vergognarsi, non necessariamente confinate nella corporeità (cfr. Dt 23,15).

Il primo riferimento biblico alla nudità è nel racconto della creazione dell’uomo e della donna, dove in pochi versetti (Gen 3,7-11) il termine nudo, simbolo di vergogna e paura, torna tre volte. Il contesto è la disobbedienza di Adamo ed Eva, a causa della quale, scoprendosi nudi, i due si nascondono perché hanno paura di Dio e provano una reciproca vergogna. Eppure, nel giardino dove Dio li aveva posti, «erano nudi e non provavano vergogna» (cfr. Gen 2,25). La nudità fisica non era un problema, ma indicava la condizione originaria della persona umana. Giobbe afferma: «Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò» (Gb1,21). La vergogna e la paura provengono, in seguito, non dalla nudità fisica, ma dalla disobbedienza che li rese consapevoli di avere perduto l’amicizia con Dio, di essere vulnerabili, deboli, in balia di altri. La diffidenza verso Dio li mise “a nudo”: si «accorgono di essere nudi», infatti, solo quando, sedotti dal serpente, simbolo dell’astuzia e della bramosia, pretendono di travalicare il limite umano, per usurpare quello divino. La paura del limite genera il bisogno di protezione che fa nascondere, coprirsi e incolparsi. Adamo ed Eva, simbolicamente, si proteggono confezionandosi fragili vesti, con foglie di fico. Dio, invece, li veste, con resistenti tuniche di pelle (Gen 3,21). Fuori metafora, Dio, coprendoli, restituisce loro la dignità che avevano perduta (cfr. Gen 3,21). Il vestito, infatti, è simbolo di dignità, sicurezza, protezione, difesa della vita. In altri testi dell’Antico Testamento la nudità indica la perdita della dignità, a causa dei soprusi e di ogni sopraffazione contro i più deboli (Gen 9,21-23; Is 20,4; Lam 1,8).

Un significato positivo della nudità è evidente nella profezia di Osea. Il profeta, cantore dell’amore, lo utilizza come simbolo dell’amore fedele di Dio verso il popolo infedele. Dio castigherà la sposa infedele, cioè il suo popolo, rendendola nuda, privandola, cioè, di tutte le idolatrie e le maschere che si era costruita e l’avevano allontanata da Lui (cfr. Ez 16,37,39). Si tratta simbolicamente del tentativo ultimo e radicale di riportare la sua sposa/popolo alla condizione originaria, come quando nacque, per rivestirla della dignità perduta con il peccato (Os 2,5,21).

Da sapere

Il Vangelo secondo Marco allude a una nudità come condizione necessaria per raggiungere la vita in pienezza. Un giovinetto presente al Getsemani, fuggendo dai soldati che catturano Gesù, lascia cadere il lenzuolo che lo avvolgeva, rimanendo nudo (15,51). Gli studiosi interpretano questa immagine come simbolo della scelta di Gesù, il quale, facendosi obbediente fino alla morte di croce, si spoglia della vita, con tutte le sue prerogative, per vestire noi della vita divina (cfr. Fil 2,7-11). Il terzo giorno risorge, rivestito di gloria.

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