Educare alla relazione

Io - Tu - Noi

Abbiamo già evidenziato, nell'articolo del mese scorso, come l’esperienza del rispecchiamento sia fondamentale per lo sviluppo della persona, che vive della relazione e per la relazione. Tale esigenza è molto più forte nell’adolescenza ed è più impegnativa per gli adulti, a cui è richiesto di tollerare i rapidi, e spesso tumultuosi, cambiamenti dell’adolescente.

Nel suo libro, I mutanti, Sofia Bignamini evidenzia: «Proprio come i serpenti cambiano la pelle – perché sono cresciuti e quella che avevano è stretta – anche i nostri figli mutano, attraversando un periodo in cui faticano a riconoscersi e a essere riconosciuti. Qualche giorno prima di lasciare il vecchio involucro, i serpenti diventano irascibili, modificano le loro abitudini, impegnati solo a fare scorte di acqua e di energia in vista del cambiamento… Qualcosa di simile accade ai nostri "mutanti" mentre vivono la preadolescenza… A noi è richiesta una certa dose di fiducia e competenza per non dimenticarci che il loro è un passaggio, una transizione verso una condizione più evoluta, efficiente, piacevole allo sguardo e al contatto».

La spinta verso l'altro

La spinta evolutiva conduce verso un ampliamento della sfera sociale. Nell’adolescenza il noi, costituito dalla prima comunità che è la famiglia, è ampliato e, spesso, stravolto dall’ingresso di altri noi: gli amici, i compagni di scuola. Gli altri sono indispensabili, ma possono essere avvertiti come fonte di pericolo, di disconferma del proprio valore. Gli episodi di bullismo, che coinvolgono molti alunni della scuola media, rappresentano una triste testimonianza delle difficoltà e dei fallimenti di questo processo d’integrazione soprattutto per i ragazzi più timidi e sensibili. Sebbene siano i bullizzati ad attirare l’attenzione e la premura degli adulti, è da considerare che anche i bulli e i loro complici sono vittime, prigionieri di dinamiche da cui è impossibile liberarsi senza l’aiuto competente di genitori ed educatori.

Un processo complesso

Ogni educatore necessita di conoscere alcuni principi psicologici che regolano lo sviluppo del comportamento prosociale. Non è solo questione di buona volontà relazionarsi, in modo rispettoso e adeguato, con adulti e coetanei, per affrontare con successo qualsiasi impresa, dall’apprendimento scolastico a un’attività sportiva.
Il comportamento prosociale è «la risultante di un processo in cui convergono molti fattori, tra cui l’empatia, l’assertività, la capacità di individuare e risolvere problemi, l’autocontrollo e richiede il superamento di atteggiamenti antagonisti come l’aggressività, la passività e la competitività» (D. Salfi - G. Barbera, La prosocialità: una proposta curricolare, in Psicologia e Scuola, 52, pp. 46ss.). L’educatore deve munirsi di sano realismo e sperimentare percorsi nuovi con determinazione e pazienza. Esiste in ciascuno la disponibilità al comportamento prosociale che può essere sviluppata ed educata passando da un comportamento quasi istintivo a una condotta consapevole che si mette in atto anche quando richiede di sacrificare la propria soddisfazione a vantaggio dell’altro. Una base neurologica fondamentale dell’empatia è quella dei neuroni specchio, che permettono di comprendere le azioni osservate e di imitarle. Ugualmente indispensabile è riconoscere l’altro come portatore di un suo pensiero, di propri desideri ed emozioni: il cervello risponde come un diapason all’altro che è avvertito, sempre di più, come un’individualità. Entrare in un rapporto empatico senza confondersi è il presupposto dell’interazione sociale.
Anche il comportamento etico ha basi neurofisiologiche e psicologiche e dipende dalla maturazione delle varie componenti della persona, secondo tappe e ritmi precisi, ma può essere promossa e stimolata dall’azione educativa. Proprio la permeabilità del nostro organismo e della nostra psiche all’ambiente, il fatto che siamo frutto di continui interscambi richiedono un’attenzione ancora più accurata agli obiettivi e alle modalità dell’azione educativa.

La catechesi pone, in primo piano, il comandamento dell’amore per il prossimo, nel modo in cui Gesù lo ha insegnato e testimoniato, educa ai valori della condivisione e della donazione di sé. Spesso, però, rischia di limitarsi all’enunciazione di principi astratti. Pensiamo ad affermazioni come: «È più bello dare che ricevere» o «bisogna amare tutti come Gesù», per renderci conto come, a volte, la catechesi, più che indirizzare a un cammino graduale e sereno nell’amore, rischi di spalancare orizzonti lontani e sconfinati in cui è facile perdersi.
Nei percorsi di catechesi l’educazione al noi passa attraverso la costruzione di uno stile comunicativo che orienti all’ascolto di tutti, all’accoglienza delle diversità, per comporle in un dialogo costruttivo: caratteristiche devono manifestarsi nel comportamento dell’educatore, perché siano acquisite dai ragazzi.

Il Natale: apertura all'altro e all'alto

Ogni festa è celebrazione del noi e prova evidente che quanto ci rende veramente felici è l’incontro. Il Natale è la festa per eccellenza dell’incontro: le tradizioni da una parte e la liturgia dall’altra lo testimoniano. Occorre, però, rendere concreto e visibile ciò che le parole esprimono, con gesti autentici. Un esempio di distorsione è quello di sostituire il dono, scelto accuratamente per l’altro, con i soldi per l’acquisto di vestiti, giochi…; per cui manca il dono da scartare in un clima di sorpresa e di riconoscenza. Tale modalità toglie al regalo natalizio il suo profondo significato simbolico e religioso, come segno del dono di Gesù, che Dio Padre fa al mondo.


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