In Veneto c’è un modo di dire a me molto caro, perché da bambina me lo sono sentita dire spesso: «Te si ‘na bronsa cuerta». Significa «sei un tizzone coperto» e viene detto a quelle persone che apparentemente sembrano tranquille, innocue, ma che sotto, sotto possono rivelarsi pericolose proprio come la brace che se ne sta nascosta sotto la cenere ma che può bruciare chiunque vi si avvicini incautamente.
Durante un incontro con una scuola superiore a Cagliari, inavvertitamente mi sono lasciata sfuggire questa frase e l’espressione ha destato molta simpatia tra gli studenti che prontamente me l’hanno riportata in sardo: Mùtziga surda, è quella persona che astutamente fa finta di non sapere, di non sentire e poi invece fa cose che nessuno si aspetta.
Chissà se a Roma c’è un modo di dire equivalente. Sicuramente è a questo modo di fare, che si riferiva una delle protagoniste del mio nuovo romanzo Come braci sotto la cenere quando, confidandosi con una cara amica, rivelò che il fascismo non stava riuscendo a spegnere gli ideali che portava nel cuore, ma che essi se ne stavano come tizzoni nascosti, pronti a riaccendersi non appena avesse avuto la possibilità di togliere la cenere che li ricopriva e soffiarci sopra un po' di aria buona.
Le giovani donne di cui racconto, vivevano nella società italiana degli anni Quaranta che aveva delle idee molto rigide sul modo in cui le ragazze dovevano vivere, su ciò che potevano o non potevano fare, perfino su ciò che potevano o non potevano desiderare. Inoltre c’era un regime fascista che aveva portato l’Italia in guerra e che queste idee le stava manipolando per assicurarsi un maggiore controllo sulla popolazione tutta.
Eppure queste ragazze non si sono lasciate spegnere. Non hanno permesso che ciò che stava loro intorno, il buio e l’oppressione in cui vivevano, spegnessero quella scintilla che iniziò ad ardere in poche di loro inizialmente, ma che poi ha illuminato la mente e il cuore di tante altre ragazze di tutta Italia. Queste giovani donne hanno intrapreso nascostamente, un cammino di liberazione personale ma soprattutto hanno ideato un percorso formativo per le giovani che sarebbero arrivate in futuro. Il loro pensiero e il loro agire era rivolto soprattutto a quelle ragazze che un domani, si sarebbero dovute prendere cura di un’Italia ferita, dilaniata e immiserita dalla guerra, ma anche occuparsi delle cause che la guerra, l’avevano provocata: l’odio verso il diverso, l’arroganza, il potere come strumento di oppressione a vantaggio di pochi.
Le otto ragazze che il 28 dicembre 1943 hanno dato il via all’Associazione delle Guide Italiane (il ramo femminile degli Scout), pronunciando la loro promessa nascoste nelle catacombe di Priscilla, sono per noi oggi un esempio incredibile di forza femminile. Erano giovani donne che non si sono lasciate fermare dalle limitazioni del loro presente: le hanno aggirate. Si sono finte sorde, insignificanti, anonime e in quel loro anonimato hanno lavorato clandestinamente per creare un nuovo futuro. Erano giovani donne che non si sono fatte ingabbiare dai modelli femminili di allora: né da quelli che le volevano ingranaggi muti e invisibili, o conniventi guardiane dell’onore fascista, né da quelli che al contrario permetteva loro di partecipare solo se accettavano la violenza armata come unica modalità di azione.
Queste ragazze si sono inventate un loro modo di essere donne, giovani, libere, cittadine attive e pronte ad assumere la loro parte di responsabilità.
Laura Cappellazzo