Con il cuore aperto al Signore e ai fratelli.
«Come può costui darci la sua carne da mangiare?» dicono i Giudei. Di fronte alla loro comprensibile incredulità - se un uomo del quale sappiamo paese, professione, parentela ci dicesse di sé cose così clamorose e impensabili… - Gesù non attutisce le sue parole, non cerca di renderle più accettabili, non lamenta di non essere stato capito - come fanno politici e VIP - ma ne aumenta la provocazione: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Dicendo così raggiunge il punto più alto e misterioso del suo messaggio: mangiare la sua carne e bere il suo sangue non produce un beneficio temporaneo, come una pasticca per il mal di testa, non lascia tracce che svaniscono con il passare dei giorni, ma crea una intimità durevole, una “dimora”: come «io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me». Non momenti insieme, ma la vita.
Alla cena del Signore sono tutti invitati, come al banchetto delle nozze del re, ma con l’abito nuziale (Mt 22, 11). Questa esigenza rende inevitabili alcune domande: chi può accostarsi alla comunione senza prima confessarsi? Quali sono i peccati che la impediscono? Il Catechismo della Chiesa Cattolica recita: «Per ricevere la santa Comunione si deve essere pienamente incorporati alla Chiesa cattolica ed essere in stato di grazia, cioè senza coscienza di peccato mortale. Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave deve ricevere il Sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione. Importanti sono anche lo spirito di raccoglimento e di preghiera, l'osservanza del digiuno prescritto dalla Chiesa e l'atteggiamento del corpo (gesti, abiti), in segno di rispetto a Cristo» (Compendio 291).
Ma quali sono i peccati gravi? Per evitare imprecisioni o fraintendimenti evitiamo elenchi e ricorriamo alla fonte. Dice Gesù: «Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5 23 -24). Se non essere in pace con i fratelli, magari per incomprensioni, per gelosie, per questioni di eredità, richiede di riconciliarsi con loro prima di accostarsi all’altare, figuriamoci se è possibile fare la comunione con l’odio, il rancore, il desiderio di vendetta, la gelosia, l’invidia, la malignità… nel cuore. Tutto ciò che ci separa dai fratelli e dalle sorelle, consapevolmente, senza la precisa volontà di convertirsi impedisce di partecipare alla “cena dell’Agnello”.
Forse anche più insidiose per la sacralità dell’Eucaristia, perché più frequenti e subdole, sono la superficialità, l’abitudine e la banalizzazione. Di fronte a questi comportamenti l’apostolo Paolo è severissimo: «chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (Cfr. 1 Cor 11, 29). La gravità di questi comportamenti non sta tanto nella comunione fatta dai parenti nei funerali, nelle prime comunione e nelle cresime, anche se non praticanti - questo fenomeno per lo meno avviene con una certa emozione e in un clima religioso apprezzabile -, ma in quella di coloro che “sono di chiesa”, e si accostano all’Eucaristia regolarmente senza esaminare la propria coscienza, senza un comportamento adeguato, e senza preoccuparsi di portare l’Eucaristia nella vita.
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Gesù non dice “avrà” ma «ha» la vita eterna. Ogni comunione la fa germogliare in noi in attesa dell’incontro con il Cristo risorto. Per ricevere degnamente questo dono immenso, non basta l’attenzione “durante”, ma esige un impegno prima e dopo. Il “prima”: arrivare all’Eucaristia con sentimenti autentici di gratitudine al Signore che ci invita alla sua mensa con il cuore aperto al perdono e alla misericordia. Il “dopo”: seminare nella vita la forza del pane che, disceso dal cielo, sospinge verso il cielo, vivendo con umiltà ma con tenacia secondo l’esortazione dell’apostolo Paolo, (Fil 4,8): «fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri».