Testimoniare una fede adulta e gioiosa.
Questa domenica proclama uno degli episodi più conosciuti e meditati del Vangelo, stimolo di interrogativi e riflessioni importanti e sorprendenti. Per cominciare: la scelta di Gesù. Egli inizia la sua opera evangelizzatrice non con un evento clamoroso e solenne, ma nella maniera più umana e familiare possibile: un pranzo di matrimonio. E non a Gerusalemme, non in un altro luogo importante, non con ospiti ragguardevoli, ma da semplice invitato al seguito di sua madre. A quei tempi, è vero, non c’erano internet, social e satelliti di Elon Musk, ma il mezzo per fare rumore non mancava: sarebbe bastata un po’ di confusione davanti al Tempio, o sotto il palazzo di Pilato. Una occasione perduta? Tutt’altro. Il pranzo matrimoniale, segno di festa e di gioia, è stato misteriosamente previsto e annunciato dagli antichi profeti (Isaia, prima lettura), come il progetto di Dio per realizzare con il suo popolo un rapporto gioioso di amore: «il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te».
Durante il pranzo. La madre di Gesù, accortasi che qualcosa stava per rovinare la festa, dice a Gesù: «Non hanno vino». Alla risposta non incoraggiante del figlio, lei comanda senza incertezze ai servi: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Sappiamo cosa disse Gesù ai servi e cosa avvenne. E la meraviglia aumenta. Fossero venuti a mancare il pane, la carne, le erbe…, con una figuraccia solenne degli sposi e una delusione imbarazzante degli invitati, si potrebbe capire l’intervento di Gesù, ma questa fornitura di vino per coloro che «avevano già bevuto molto», sembra uno miracolo sprecato, e anche sbagliato.
La si potrebbe pensare così, se non ci fosse la frase che chiude il racconto: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui». “L’acqua diventata vino” è un “segno” (quello che noi chiamiamo miracolo), cioè un qualcosa di tangibile, anche piccolo (un gesto, un’immagine, un avvenimento…) che rimanda a una realtà grande e misteriosa che non si può né vedere, né toccare. Nella Bibbia il vino è segno della gioia intelligente e saggia: «vino che allieta il cuore dell'uomo» (Sal 104, 15); «che vita è quella dove manca il vino?»; «allegria del cuore e gioia dell'anima è il vino bevuto a tempo e a misura» (Sir 31, 27.28). Il messaggio perciò è chiaro e fondamentale: con il primo dei suoi “segni” Gesù si rivela come colui che porta la gioia nella nostra vita.
Come Chiesa e come singoli credenti siamo chiamati a cambiare l’acqua in vino (oggi di acqua come in quella sala ce n’è una quantità enorme: «sei anfore di pietra contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri»), annunciando e testimoniando che Dio ci vuole bene, che con Gesù ci indica la via della gioia e ci accompagna a percorrerla.
Facile a dirsi ma difficile a farsi, sia perché il bene è sempre arduo, sia perché una fede tiepida e “fumigante” ha finito per diffondere la sensazione che la fede non dia la felicità, ma anzi la combatta e appena può la impedisca con proibizioni e tabù.
In un contesto sociale complesso e in una cultura che trasforma il vino buono in acqua, è possibile testimoniare una fede capace di suscitare la sorpresa del direttore del banchetto (cioè i nostri contemporanei) e la soddisfazione dei commensali? Certo! San Pietro ha lasciato una indicazione preziosa: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). «Adorate» indica una fede che sa di amore e di gioia, di vino buono. «Rendere ragione» vuol dire una fede adulta, consapevole, capace di discernere la verità dalle fake news mai così potenti e insidiose. San Paolo completa con una Chiesa dove tutti sono chiamati a condividere ma con un solo Signore (seconda lettura), con Gesù e la madre sempre tra gli invitati.