Dio non ha creato la morte

XIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dobbiamo accettarla, ma anche combatterla e alleviarne lo strazio.

La prima lettura di questa domenica inizia con un annuncio perentorio: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi». Non potrebbe esserci notizia più bella e consolante. Però la morte c’è, e se non l’ha creata Dio, chi l’ha fatto? «Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo», risponde la parola di Dio, senza però placare i nostri interrogativi. Con la nostra intelligenza, infatti, possiamo capire che senza di essa lo scorrere della vita e della storia sarebbe stato impossibile, e la terra sarebbe rimasta appannaggio dei primi occupanti. Ciò che non riusciamo ad accettare è che potrebbe essere meno ingiusta e crudele: colpisce bambini, giovani, genitori, figli… senza riguardi per l’età e le situazioni.
Dice: “Non avrebbe potuto portarci via soltanto dopo avere vissuto la pienezza degli anni e delle esperienze?”. Fosse stato così, le cose non sarebbero migliorate. Se, pur sapendo che la “nemica” può arrivare nei modi e nei tempi più imprevedibili (quelli del “non si può morire così!”) non siamo né saggi né accorti, cosa accadrebbe se conoscessimo il tempo del suo arrivo? Il bambino potrebbe buttarsi giù dal terrazzo. Tanto non è la sua ora… Il giovane potrebbe guidare ubriaco e impasticcato. Tanto… L’adulto percorrerebbe l’autostrada in senso contrario. Tanto…
Niente da fare! Dobbiamo affrontarla così com’è, non però da rassegnati, o fingendo di ignorarla, ma resistendole e combattendola come suggeriscono gli incontri che Gesù ha avuto con lei nella sua vita terrena: la dodicenne, il giovane (Lc 7, 11-17), l’adulto (Gv 11, 1-44).

«Non è morta ma dorme»

Il brano evangelico di questa domenica si sofferma sulla morte della dodicenne figlia di uno dei capi della sinagoga. «La bambina non è morta, ma dorme», dice Gesù, prendendola per la mano e riportandola in vita. Ecco la verità: la morte è un sonno dal quale risvegliarsi nella vita che Dio aveva in progetto, perché «ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura». «Fanciulla, àlzati!», le chiede Gesù. La morte non l’aveva gettata nel nulla, lei era ancora lì, nell’attesa della sua mano. Così sarà per noi. Questa è la risposta della fede: la si può irridere come la gente davanti alla casa di Giàiro, oppure accettarla, aspettando che il Risorto venga a prendere la nostra mano per risvegliarci.

La resa no

L’attesa, però, non deve essere passiva. Il padre della ragazza ha fatto tutto quello poteva per contrastarla: capo della sinagoga, è andato incontro a Gesù, gettandosi ai suoi piedi, supplicandolo con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva»; confidando sul «Non temere, soltanto abbi fede!», anche dopo la triste notizia: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».
Non siamo in grado di richiamare i morti alla vita, possiamo e dobbiamo però combatterla sempre, comunque e dovunque essa si manifesti, diminuendone lo strazio con tutti i mezzi possibili della scienza e dell’assistenza, evitando tutto ciò che indebolisce, ferisce, umilia la vita, e accompagnando con la vicinanza e la preghiera coloro che ne sono colpiti.

Contro ogni morte

Andando verso la casa di Giàiro, Gesù rafforza il suo messaggio con la donna che, furtivamente e coraggiosamente, gli tocca le vesti con la certezza che avrebbe ottenuto quello che non gli avevano dato medici e medicine. Dodici anni di morta vivente - questo lei era, dovendo evitare ogni contatto con le persone e con gli ambienti dove ciò poteva accadere, sinagoga compresa - non le avevano spento la voglia di vivere. E attenzione! Mentre Gesù richiama in vita la ragazza nella sua cameretta, alla presenza soltanto dei genitori e dei tre apostoli, dà il massimo della visibilità alla guarigione della donna. Il messaggio è attualissimo: se non ci è dato vincere la morte fisica, possiamo alleviarne lo strazio; è possibile e doveroso invece, vincere la morte nascosta: l’abbandono, l’emarginazione, la miseria, la malattia… Questa lotta è la carità più alta per risvegliarsi alla vita eterna.


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