Il chicco e la spiga

V Domenica di Quaresima - Anno B

Contrapporre alla facilità del male la fatica del bene.

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Queste parole di Gesù, conosciute da tanti, e sperimentate da tutti, sono la legge del morire per vivere; del faticare per raggiungere il bene; del soffrire per arrivare alla gioia. Sono l’interrogativo di sempre: “Perché ciò che è vero, che è buono, che è bello, che è giusto richiede fatica, mentre il contrario riesce facile e spontaneo?”.
Nemmeno le menti più acute sono riuscite a trovare una risposta, perché la ricerca finisce sempre come quella di Giobbe che, dopo avere tentato in tutti i modi di capire, discutendo con Dio, si arrende: «Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò» (Gb 40, 4-5).

La testimonianza di Gesù

Lo stesso Gesù, in quanto uomo, ha sentito il peso di questa legge. Ci autorizza a pensarlo il “turbamento” provato nel momento del suo 'chicco morto' per produrre la nostra salvezza: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Pensare questo di Gesù, sembra quasi sacrilego. Eppure è ciò che rivela la Lettera agli Ebrei: «Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito». Come non andare con la mente nell’Orto deli Ulivi? Le sue preghiere, suppliche, forti grida e lacrime non sono diverse dalle nostre quando ci troviamo ad affrontare malattie, disgrazie, insuccessi, rovesci, abbandoni, tradimenti, solitudine?
Una domanda è pronta dentro di noi: “Dio lo ha esaudito, invece noi…”. Gesù è stato esaudito «per il suo pieno abbandono a lui», e lo ha “glorificato”, rendendolo «causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono», ma non lo ha liberato dal calvario e dalla morte in croce. Anche noi veniamo esauditi se, anche con “forti grida e lacrime” accettiamo di essere il chicco caduto nel terreno per produrre “molto frutto” di verità, di bontà, di giustizia, di pace.

Perché è così?

Come mai Dio non ci ha creati in modo da non dovere arrivare al bene, alla gioia, alla felicità attraverso la sofferenza? La Bibbia risponde che Dio non voleva che fosse così. È stato il peccato a cacciarci nella condizione del chicco di grano che per produrre il frutto deve morire.
La risposta della Bibbia non soddisfa i nostri interrogativi e non chiarisce il mistero. Ma ce n’è soltanto un’altra: quella delle fede che, di nuovo come Giobbe, si affida: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?», «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21; 2,10).

«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?», dissero i discepoli a Gesù quando affermava di essere il pane disceso dal cielo, e molti di essi non andarono più con lui (Gv 6,60). È così anche per la legge del chicco che deve morire per produrre la spiga: o la si rifiuta, o la si accetta. Accettarla però non significa subirla come una condanna, perché renderebbe la vita triste e amara, ma farne un impegno per produrre tutto il “molto frutto” possibile.
Perché è così? «Metto la mano sulla bocca e non parlo più». Lo capiremo quando vedremo il problema dall’Alto, con lo sguardo di Dio.


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