Al cammino del bene non basta il pane del forno.
La parola di Dio di questa domenica si apre con il profeta Elia che vuole lasciarsi morire, profondamente deluso, anche nei confronti di Dio. Ha vinto la sfida contro i falsi profeti e, invece di essere ringraziato, deve fuggire, perché la corrotta regina Gezabele vuole la sua morte. Mentre aspetta di morire, dormendo sotto una ginestra, un angelo lo sveglia e lo invita a mangiare «una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua». Addormentatosi un’altra volta - davvero stremato sia fisicamente che spiritualmente! - di nuovo l’angelo gli ordina di mangiare: «perché è troppo lungo per te il cammino». Elia mangia e, con la forza di quel cibo, cammina per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.
Il riferimento di questo testo al brano di Vangelo - il dialogo di Gesù sul «pane disceso da cielo» con la folla che aveva assistito alla moltiplicazione del pane e dei pesci - è immediato: la focaccia e l’acqua che hanno dato a Elia la forza di camminare «quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio l’Oreb» sono l’Eucaristia, la Messa.
Però, ci crediamo davvero che la forza misteriosa e potente che ci sostiene nel nostro andare quotidiano sulla via del bene è la Messa? Soltanto Dio legge nel cuore, perciò soltanto lui conosce la nostra risposta personale; però, da ciò che è visibile e verificabile anche a noi, non sembra proprio che la nostra fede nel «pane disceso da cielo», sia come quella di Carlo Acutis (il giovane quindicenne, dichiarato beato da papa Francesco) che partecipava alla Messa tutti i giorni, ritenendo l’Eucaristia la sua «autostrada per il Cielo».
Durante la Messa, dopo la consacrazione, il celebrante si inginocchia davanti al pane e al vino consacrati, esclamando : «Mistero della fede», e tutta l’assemblea proclama il suo consenso. Ma quanta convinzione c’è nel pronunciare la formula: «Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta»?
La parola “mistero” nella lingua corrente significa qualcosa difficile da capire e da spiegare. Nel linguaggio liturgico, invece, designa un avvenimento grandioso che suscita meraviglia e stupore, non da capire ma da adorare. Allora, quanta adorazione c’è nelle nostre Messe, dove pochissimi si inginocchiano e alzano gli occhi verso il pane e il vino mostrati appositamente all’assemblea; dove non pochi rimangono tranquillamente seduti; dove la preoccupazione è disinfettare le mani, e avere la bottiglietta d’acqua con il cellulare pronto a trillare? In questo contesto, su quale terreno cadono le parole di Gesù: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»?
Nel dialogo con la folla dopo la moltiplicazione del pane e dei pesci - che in queste domeniche di agosto ci siamo proposti di accogliere come verifica della nostra Messa - più Gesù spinge verso il «pane del cielo», più la gente cerca quello della terra, e vedendo allontanarsi la speranza di riceverne, comincia ad andarsene. Questa soluzione può accadere anche a noi. Anzi, sta accadendo. Infatti, perché continuare ad andare a Messa se non ne ricavi niente?
Le cause della situazione non “brillante” della Messa, e dell’abbandono della stessa, sono tante, e non è questo il luogo per individuarle e analizzarle. Quella però sempre più evidente e influente è la mancanza di “adorazione”, cioè di silenzio, di riflessione, di interrogativi, di meraviglia e timore davanti alle cose, agli avvenimenti, alla vita. Si corre, si consuma, si fa rumore, si va senza sapere dove: l’esatto contrario dell’adorazione. Come reagire? Non con altro rumore, benché religioso, ma con un traguardo: «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi», e un sentiero: «scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo».
Ce n’è da camminare e ce ne vuole di pane della vita da mangiare.