Dolore e gioia nel pianto di Pietro e nel nostro.
Qualsiasi predica dopo l’ascolto della Passione del Signore sarebbe inutile e presuntuosa. Servirebbe soltanto a disturbare ciò che essa ha lasciato nel cuore per essere custodito e meditato. La liturgia non è un chiacchiericcio, come purtroppo qualche volta avviene, ma un evento, cioè un fatto che trasmette un messaggio non con le parole ma con ciò che accade. È il caso della Domenica delle Palme che inizia con gli osanna e lo stormire di rami di ulivo, per passare con uno stacco improvviso, segnalato dalla preghiera iniziale della Messa (la colletta) all’ascolto della Passione del Signore. Dalla folla che loda Dio a gran voce dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore», a quella che urla a Pilato: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!».
Come c’è l’angolo di visuale per vedere la realtà non in modo piatto e uniforme, c’è anche l’angolo di ascolto per seguire i racconti in modo che le parole non scivolino tutte uguali, a scapito dell’attenzione e della comprensione, ma le favoriscano e le approfondiscano. Facciamolo anche con l’ascolto della Passione. Dei quattro racconti quest’anno viene proclamato quello di Luca, l’evangelista che è attento a descrivere ciò che succede nel “cuore” per essere custodito e meditato perché difficile da capire in quanto grandioso, misterioso, inaspettato, come l’annuncio dell’angelo Gabriele (Lc 2,19: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore») o la risposta di Gesù ritrovato nel tempio a Maria (Lc 2,48). L’angolo di ascolto del racconto della Passione secondo Luca può essere la sofferta solitudine di Gesù che dall’ultima Cena in poi raggiunge il massimo sulla croce con il grido a gran voce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Durante l’Ultima Cena, mentre istituisce l’Eucaristia e annuncia il tradimento di Giuda, i discepoli discutono su chi di loro era «da considerare più grande». Sul monte degli Ulivi, alla sua commovente richiesta di pregare «per non entrare in tentazione», e per sostenere la fatica del compiere la “volontà del Padre”, rispondono addormendosi. Poi l’abbandono e il tradimento di Giuda, perpetrati per soldi e con un bacio; la fuga degli altri discepoli, che trova il punto più alto nel pianto amaro di Pietro in risposta allo sguardo di Gesù fissato su di lui, che gli ricordava come era finita la solenne promessa: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Come dimenticare gli occhi di Gesù carichi di tristezza e misericordia, capaci di recuperare anche gli abbandoni più gravi, e quel “pianse amaramente” di Pietro, un misto di dolore e gioia.
Dopo il recupero di Pietro, Gesù entra in una spirale sempre più drammatica e dura di solitudine: gli uomini che lo avevano in custodia lo deridono e lo picchiano; il Sinedrio lo accusa e lo condanna; Erode, che da tempo desiderava vederlo compiere qualche miracolo, deluso dal rifiuto di Gesù, lo insulta e si fa beffe di lui; Pilato che vorrebbe salvarlo, ma il «Crocifiggilo! Crocifiggilo!» dei «capi dei sacerdoti, delle autorità e del popolo» gli tolgono il coraggio; sul calvario nel momento del «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» gli sono vicini soltanto uno dei malfattori e il centurione.
Il brano con il quale inizia la proclamazione della Passione, dice: «Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme». Il suo viaggio adesso è compiuto. Per tutti coloro gli camminano dietro, seguendolo anche in solitudine, c’è la promessa di essere con lui nel Paradiso.