Quando non basta la corrente elettrica.
Questa antichissima festa, chiamata fino al Concilio Ecumenico Vaticano II, Purificazione di Maria, secondo il rito richiesto dalla legge ebraica dopo quaranta giorni della nascita del figlio, quindi dal Natale; diventata, Presentazione del Signore; per la gente è rimasta sempre Candelora, nome derivato dalla benedizione e accensione delle candele come segno della profezia di Simeone: «luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il motivo della festa – ecco perché è diventata Presentazione del Signore – non si esaurisce nella commemorazione di un episodio di tipo familiare e rituale, ma nella rivelazione di un avvenimento grandioso: il Messia, il promesso e atteso da sempre, finalmente incontra il suo popolo. Questo incontro non poteva che realizzarsi nel Tempio, il luogo dove Dio ascoltava le invocazioni accorate del suo popolo affinché il promesso, il liberatore, non tardasse.
Il Signore Dio, più volte e in molti modi, si era impegnato: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti» (Prima lettura). La promessa si realizza in Gesù che va nel Tempio a incontrare il suo popolo.
Gesù chi trova ad aspettarlo? Due “poveri”, due umili, come i pastori. I sacerdoti, le autorità, i capi del popolo sono lì, magari a invocare che il Messia affretti la sua venuta, perché il giogo dei Romani si fa sempre più pesante, ma non lo riconoscono. Hanno gli occhi pieni delle loro vedute, e i cervelli ingolfati dai loro schemi. Non potrebbero nemmeno sospettare che il Signore degli eserciti possa arrivare sulle braccia di due poveri, in grado di offrire soltanto «una coppia di tortore o due giovani colombi» per il riscatto del bambino, e di due anziani malandati.
Invece Simeone e Anna lo riconoscono. Sono come i pastori di Betlemme, hanno gli occhi e il cuore dei Magi venuti dall’Oriente. Non vivono con lo sguardo sui loro piedi, né tanto meno con la testa rivolta al passato. Sanno guardare davanti e in alto, dove è la stella, dove è il Signore.
Divenuti familiari di Dio, Simeone, «uomo giusto e timorato di Dio», Anna, sempre nel tempio, «servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere», hanno avuto il dono di accoglierlo.
E noi? Celebriamo nel rito il Signore che ci viene incontro, ma nella vita sappiamo incontrare il Signore?
Le nostre candele sono accese, ma i nostri occhi sono illuminati? Siamo vigilanti per riconoscerlo, consapevoli che il Signore non cambia strategia, perciò non ci viene incontro come e dove noi lo aspettiamo, ma in maniera imprevista e imprevedibile, e nei momenti e nei luoghi che noi non sospettiamo?
Questa festa è molto frequentata e guai se non si riesce a prendere la candela da portare a casa per sé e per parenti e amici che non hanno potuto partecipare. Come mai questo desiderio dal momento che la piccola fiammella non serve perché di luci ne abbiamo tante: lampadine nelle case, lampioni nelle strade, fari nelle piazze, il cellulare nei casi di improvvisi blackout? Forse il motivo va cercato nel fatto che questa piccola fiammella suggerisce e ricorda, anche inconsciamente, che per raccapezzarci abbiamo bisogno di una luce “altra”: Gesù, luce delle genti e delle menti.
La candela che portiamo a casa custodiamola come desiderio della luce “Gesù”. Quando per motivi personali, di famiglia, di lavoro, di problemi sociali e mondiali entriamo in confusione, non ci capiamo più niente, non vediamo più chiaro, fermiamoci ad ascoltare cosa dice la candela che non si consuma (Gesù), e che – come attesta la seconda lettura dalla Lettera agli Ebrei – è «misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio… e che, per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova». E le prove non mancano mai.