Non increduli ma credenti

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia - Anno C

Tutti chiamati a essere come papa Francesco.

«Non essere incredulo, ma credente» dice Gesù a Tommaso, dopo avergli mostrato e invitato toccare le ferite delle mani e del fianco. “Non siate increduli ma credenti” dice a noi che abbiamo celebrato la sua risurrezione, confermando la fede nella vita eterna. Tommaso, l’esortazione con una venatura di rimprovero, se l’era meritata, perché dopo tre anni di vita insieme non avrebbe dovuto avere dubbi su ciò che il Maestro aveva ripetutamente annunciato; e non avrebbe dovuto dubitare nemmeno della testimonianza degli altri amici e discepoli: «Abbiamo visto il Signore!».

E noi? Entriamo nel luogo dove i discepoli, a porte chiuse per paura dei Giudei, si trovavano, e domandiamoci se anche noi, come Tommaso, abbiamo bisogno dell’invito a essere «non increduli ma credenti», senza esigere segni dei chiodi da guardare, e fianco ferito da toccare, verificando così se crediamo nella risurrezione del Signore e nella nostra. La risposta potrebbe sembrare facile. Invece non è così, se non la cerchiamo nei riti e nelle preghiere, ma nella nostra vita “risorta”, cioè nei pensieri, nelle parole, nelle opere e omissioni non circoscritti dentro l’orizzonte umano, ma motivati e guidati dalla certezza che tutto troverà completezza e compimento quando saremo insieme con il Risorto: «il Primo e l’Ultimo, e il Vivente».

Come Tommaso

Se il nostro esame di coscienza è coraggioso e sincero, dobbiamo riconoscere di essere anche noi come Tommaso bisognosi che Gesù misericordioso esaudisca la richiesta dell’apostolo: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo», stimolando e incoraggiando la fede dubbiosa, non con ragionamenti, ma mostrando il segno dei chiodi e la ferita del fianco, cioè con prove concrete, verificabili, da poter vedere e toccare. È ciò che il risorto fa per noi e chiede di fare a noi.

I segni dei chiodi e la ferita del fianco

“Come può mostrarci e farci toccare Gesù il segno dei chiodi e la ferita del costato? Se lo facesse come nel cenacolo, esclameremmo subito anche noi: «Mio Signore e mio Dio!». Ma per noi purtroppo non è così”.
Invece è così, perché segni della sua morte e risurrezione sono coloro che credono in lui, in maniera umile, sincera, concreta, coraggiosa. Questa non è un’affermazione retorica e devota, ma vera e verificabile, proprio in questi giorni, in cui stiamo vivendo la tristezza per la morte di papa Francesco, ma anche la gioia nel costatare come egli sia stato “segno dei chiodi e ferita del fianco” per una moltitudine di uomini e donne, anche di coloro che non credono a Gesù, o che seguono storie religiose diverse. Lo dimostrano le folle che per ore hanno sfilato per vedere un attimo il suo volto e offrirgli una preghiera; e centosettanta delegazioni da tutto il mondo, anche di nazioni musulmane o protestanti, perfino da quelle nei quali la religione cristiana è proibita.
Potenti della terra che hanno montagne di soldi, bombe atomiche, armi di ogni tipo, missili e droni micidiali… intorno alla bara di un uomo che su una sedia a rotelle cerca di trovare il fiato per un’ultima benedizione e un ultimo saluto.

Ma lui era il Papa!

Affermare che noi siamo chiamati a essere segni dei chiodi e della ferita nel fianco, cioè segni che fanno sorgere o rafforzano la fede nella risurrezione della carne e nell’incontro con il Risorto «il Primo e l’Ultimo, e il Vivente», può sembrare un tanto per dire, una bella frase, un paradosso, oppure la fantasia di immaginarsi sul balcone di Piazza San Pietro a dare la benedizione urbi et orbi al posto del Papa, e poi girare benedicendo tra le migliaia di fedeli con la papamobile. Non è così! Ciò che ha reso universalmente amato ed esemplare papa Francesco sono stati i piccoli gesti di semplicità e povertà: salire in aereo con la borsa in mano; andare al negozio per sistemare gli occhiali; girare in Fiat500 invece che in Mercedes… tutti gesti e comportamenti che, portati ovviamente al nostro livello, possiamo benissimo compiere anche noi per essere esempi e testimoni del “Non siate increduli ma credenti”.


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