Quelli che: facciamo un selfie

XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Le necessità degli altri non sono per essere fotografate.

Sono tante le immagini che hanno riassunto momenti storici in uno scatto più efficace di mille parole. La bambina del Vietnam che fugge dal fuoco del napalm; il bambino morto cullato dalle onde sulla spiaggia della Turchia; la mamma che allatta la bimba nella metropolitana di Kiev, e sicuramente anche l’ex presidente Trump con il volto insanguinato. È possibile però trovare una foto che rappresenti non grandi personaggi o eventi straordinari, ma le convinzioni e i comportamenti dell’attuale società? Sì! Ce ne sono tante che è difficile scegliere quelle più significative.
Prendiamo una di quelle che mostrano persone in sofferenza, picchiate, insultate, umiliate, mentre la gente guarda la scena senza intervenire, senza almeno lanciare un urlo, o fare uno squillo ai carabinieri. Anzi, per scendere di più nel profondo della cattiveria e dell’indifferenza verso gli altri, cerchiamo tra quelle che, mentre c’è una malefatta in corso, per esempio dei ragazzi che picchiano un invalido, la fotografano, cercando la postazione migliore per scattare un selfie che garantisca “l’esserci”, in modo da poterla “postare” sui social e ottenere il massimo dei “like”. Cosa fare di fronte a questi comportamenti che le immagini ci mettono davanti agli occhi? Gridiamo allo scandalo? Deploriamo i tempi cattivi? Questo si può fare e si fa, ma serve a poco. Ciò che non bisogna tralasciare è chiedersi cosa avremmo fatto noi se ci fossimo trovati in quei frangenti, e come si può rimediare questa situazione penosa.

La fratellanza

«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo - dice il Signore -, voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi». Questo rimprovero severo non riguarda soltanto i falsi pastori del tempo di Geremia, ma i falsi pastori di ogni tempo. “Compresi noi?”. Sì, perché la condanna riguarda tutti coloro che hanno responsabilità nei confronti degli altri. “Ma noi siamo il popolo, la gente, quelli che non comandano niente, che non sono pastori ma soltanto pecore. I responsabili delle ‘foto’ del disinteresse verso gli altri, dell’individualismo, dell’indifferenza, della cattiveria che pervadono l’attuale società sono quelli che comandano, che invece di ‘pascere’ le pecore, pascolano e ingrassano se stessi”.
Non è così. Ci sono naturalmente coloro che nella società civile, e anche nella Chiesa, hanno maggiori responsabilità, ma c’è una responsabilità che viene prima di ogni carica, ufficio, situazione, e che coinvolge tutti. Essa consiste nel non rispondere: «Sono forse io il custode di mio fratello?» a Dio che chiede: «Dov'è Abele, tuo fratello?» (Gen 4,9). Le foto simbolo della nostra indifferenza verso gli altri vengono scattate o riprese da questa postazione: non riconoscersi fratelli e sorelle; non accettare e soprattutto non praticare che siamo tutti “pastori” dei nostri fratelli, e tutti “pecore” dei nostri fratelli.

La compassione

Lo strumento per reagire alle immagini di disinteresse e indifferenza verso gli altri della poco incoraggiante attuale società c’è. Lo indica e testimonia Gesù anche con il brevissimo brano di Vangelo che la liturgia ci propone. È la compassione. Che non è commiserare chi è incappato in situazioni spiacevoli e penose; non è protestare perché chi dovrebbe interessarsi degli altri non lo fa; è patire con; è mettersi nei panni dell’altro; è soffrire insieme a lui, è mettersi un po’ del peso degli altri sulle proprie spalle per alleggerirlo.
Ascoltiamo il Vangelo. Gli apostoli, tornati dalla prima missione, carichi di gioia e di stanchezza, «si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. “Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare». Gesù se ne accorge e: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». È poco accorgersi delle esigenze degli altri, soprattutto se sono in qualche modo sottoposti, e provvedere a risolverle?
Approdati nel luogo deserto, in disparte, trovano «una grande folla [e Gesù], ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore». È poco rinunciare ai propri programmi a favore di quelli degli altri?
Allora, niente foto, niente selfie, niente scrollate di spalle, ma compassione.


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