Tempesta e bonaccia

XII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

La vita come la traversata del Mare di Tiberiade.

Per accogliere molti brani della Parola di Dio è necessario inquadrarli nel contesto (il prima e il dopo dei versetti in questione), collocarli nel tempo e nella cultura in cui sono stati scritti, e avere qualche esperto che li spieghi. Per tanti altri no. Li ascoltiamo ed è tutto chiaro: sono stati scritti per noi, parlano di noi, ne siamo noi i protagonisti. È così il racconto della barca in mezzo alla tempesta sul Mare di Tiberiade (o Lago di Gennesaret), che l’evangelista Marco ci tramanda, attingendo dal vissuto e dall’esperienza dell’apostolo Pietro. Mentre lo ascolti, pensi: “Parla di me. È per me”. L’immedesimazione con la vicenda è praticamente inevitabile, perché momenti di tempeste improvvise e imprevedibili nelle quali si è temuto di colare a picco - malattia, perdita di persone care, problemi di lavoro, crolli economici, rottura dell’armonia familiare, disgrazie… ed eventi negativi difficili anche da immaginare - sono nell’esperienza di tutti, o perché ci si sta dentro proprio adesso, o perché ci si è stati dentro, o per il timore che possano scatenarsi.

Venti tempestosi e onde minacciose

Quando si scatenano su di noi i venti e le onde, la reazione è quella degli apostoli: paura di non farcela e difficoltà a capire perché stia toccando proprio a noi. Immaginiamo i pensieri degli apostoli: “Ma come? Dopo un giorno intenso e faticoso, uno di quelli in cui non si ha nemmeno il tempo di mangiare, perché tutti vogliono parlarti, avvicinarti, toccarti, implorarti, ci fai trovare in questa situazione? Non sei stato tu a ordinare: «Passiamo all’altra riva»? E adesso non fai niente per farci arrivare? Di segni prodigiosi ne hai compiuti tanti per lebbrosi, ciechi, sordi, muti, zoppi, morti, perché non ne compi uno per noi, tuoi discepoli? Macché! Mentre cerchiamo con tutte le forze di resistere al vento e alle onde, tu dormi tranquillo sul cuscino, a poppa, il posto più rischioso in questi frangenti?”.

Non ti importa di noi?

Quando la barca ormai piena d’acqua è sul punto di affondare, gli apostoli si decidono a svegliarlo: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Nella loro domanda c’è un malcelato rimprovero. Non gli dicono: “Salvaci!”, compiendo un atto di fede in lui, ma: “Non ti importa di noi?”. È l’atteggiamento del fariseo nel tempio, che ricorda i suoi crediti a Dio: «stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”» (Lc 18, 9-12).
Questa segreta convinzione di avere tutto sommato qualche motivo per essere aiutati è nascosta sotto le nostre preghiere e le nostre invocazioni: “Perché non intervieni, perché non mi aiuti, perché non fai niente?”.
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?», dice Gesù agli apostoli che non avrebbero dovuto dubitare del suo intervento anche se dormiva. Lo stesso dice a noi. Per fortuna degli apostoli e nostra, nonostante la poca fede «si destò, minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia». Anche con noi si comporta così.

L’altra riva

Con il racconto della tempesta e della bonaccia sul lago di Tiberiade, la parola di Dio, oltre a stimolarci a rivivere quella vicenda e a esserne protagonisti, ci indica le piste per organizzare la nostra traversata sul mare delle nostre scelte quotidiane per passare dalla nostra riva, appesantita dall’egocentrismo e dall’egoismo, a quella del suo comandamento: «Amatevi gli uni gli altri come io ha amato voi» (Gv 13,34).
La prima: assicurarsi che sia davvero Gesù a dire: «Passiamo all’altra riva». Considerando la difficoltà del percorso, è facile scambiare la nostra volontà o quella di illuse visionarie per quella del Signore. La seconda: non dimenticare di prendere Gesù con noi, nella barca. Senza di lui nessun altro potrà far tacere i venti e calmare le acque. La terza, la più difficile: vincere il dubbio che egli si disinteressi di noi anche quando ci sembra che dorma.


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