Tutti pastori, tutti pecore

XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2021

La lezione di Gesù per non essere sbandati.

L'immagine del pastore è molto presente nella Bibbia, sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento, perché in quei tempi essa era carica di significati. Oggi, nel nostro mondo occidentale, essa rimanda a un mestiere faticoso, mal retribuito, di nessuna attrattiva per i giovani, a rischio scomparsa se non ci fossero gli extracomunitari ad accollarselo. Non va meglio per le pecore. In una società sempre più "animalista", che adotta gli amici a quattro zampe, spendendo per essi somme ingentissime; che fa battaglie contro le specie in pericolo di estinzione, le pecore sembrano non interessare a nessuno. Non è chic portarsele in giro al guinzaglio come invece succede per i porcellini o le galline. Questo accade perché una volta le pecore erano una risorsa fondamentale per la società e per le famiglie, rifornendo latte, agnellini, lana, carne. Oggi esse continuano a dare gli stessi prodotti, ma chissà da quali paesi arrivano nei supermercati in confezioni talmente elaborate e sofisticate che non è facile risalire all'origine. Così il paragone delle pecore e del pastore può influire negativamente sull'accoglienza del messaggio biblico, togliendogli la bellezza e il fascino che traspaiono negli antichi testi: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia».

Superato questo ostacolo di tipo storico e culturale con le dovute spiegazioni, ne incontriamo un altro nel fatto che gli ecclesiastici, dal papa in giù fino ai sacerdoti, si sono appropriati del titolo di pastori. Ciò comporta che dopo aver spiegato l'importanza della simbologia del pastore, è necessario far capire – e non è per niente facile – che i pastori dei quali parla la Bibbia non sono gli appartenenti al clero, altrimenti – ci si può scommettere – ascoltando la reprimenda del profeta Geremia: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo, ... Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere», non saranno pochi quelli che correranno con il pensiero agli scandali del Vaticano, o alle vicende di vescovi e di sacerdoti che non hanno dato il meglio di se stessi. Al tempo di Geremia, non esisteva la distinzione tra Stato e Chiesa, egli, perciò – come poi farà Gesù – non si riferisce ai sacerdoti, ma alle classi dirigenti del regno di Giuda, che con il malgoverno, la corruzione, e le alleanze sbagliate ne avevano danneggiato talmente la compattezza e la forza da renderlo pronto per l'esilio. Il profeta assicura che questa situazione finirà, perché Dio prenderà direttamente in mano la situazione, scegliendo pastori secondo il suo cuore, e suscitando «un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra». Questo germoglio è Gesù il pastore buono.

Ed eccolo il pastore buono in azione nel brano di Vangelo. È attento alle esigenze dei suoi apostoli tornati stanchi dalla missione; è pronto a rinunciare alla «sosta in disparte con i suoi amici» a favore della folla sbandata «come pecore che non hanno pastore», alla quale si dedica «insegnando loro molte cose». Insegnando molte cose... Questo gesto ci sorprende e ci incuriosisce. Una folla sbandata avrebbe avuto bisogno di essere riorganizzata, cioè di interventi concreti, invece Gesù si mette a insegnare. Cosa avrà insegnato? L'evangelista non lo rivela, ma non è difficile saperlo: insegnava quello che insegnava continuamente allora e continua a insegnare a noi oggi, che nella logica di Dio siamo tutti pastori. I preti lo sono per i fedeli, i fedeli per i preti; le autorità per i cittadini, i cittadini per le autorità; i genitori per figli, i figli per i genitori; i mariti per le mogli, le mogli per i mariti; i sani per i malati, i malati per i sani; i sazi per gli affamati, gli affamati per i sazi; gli occupati per i disoccupati, i disoccupati per... Insegnava allora e insegna a noi oggi che gli sbandamenti delle persone, delle famiglie, delle folle, delle istituzioni nascono sempre dal considerare gli altri pecore da sfruttare, e non invece dal sentirsene responsabili. Se, giustamente, vogliamo per noi "pastori buoni", dobbiamo essere "pastori buoni" per gli altri, consapevoli che per certi aspetti siamo tutti pecore, per altri siamo tutti pastori. È sempre più invasiva la mentalità per la quale i singoli se la prendono con la famiglia, la famiglia con la scuola, la scuola con la famiglia, la gente con la politica, la politica con la burocrazia, le aziende con i lavoratori, i lavoratori con le aziende... La lezione di Gesù è che dobbiamo avere verso tutte le persone con le quali esistiamo sulla terra, con le quali conviviamo, lavoriamo, ci incontriamo, l'attenzione costante e la disponibilità a regolare il nostro bene privato, il nostro interesse, il nostro comodo, con le loro esigenze.


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