Mons. Giovanni Cesare Pagazzi ci fa accostare in modo sorprendente e originale al mistero di Gesù, entrando in un ambito specifico della vita. Gesù sfama, si sfama e addirittura cucina, sulle rive del lago di Tiberiade: gesto umanissimo e divino insieme, che dice cura, la sua cura, verso cose e persone.
Monsignor Giovanni Cesare Pagazzi, arcivescovo originario della diocesi di Lodi, è segretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Per Paoline ha già scritto Il garbo del Vincitore (2018), un piccolo “gioiello editoriale” con cinque brevi meditazioni sulla figura del Cristo a partire dalla scultura del Risorto che campeggia nell’Aula Paolo VI, in Vaticano.
Nella sua ultima novità, La cucina del Risorto, l’Autore si sofferma stavolta su quei momenti della vita di Gesù strettamente connessi al cibo e alla cucina. Certamente ci sono quelli più noti: la moltiplicazione dei pani e dei pesci e l’Ultima Cena. Ma ce n’è anche un altro, che il Vangelo ci restituisce, davvero sorprendente: sulla riva del lago, il Risorto cuoce per i suoi amici pane e pesce.
Cosa dice di Cristo questo insolito dettaglio? Quali sollecitazioni produce nelle relazioni tra le persone? Come interpella la Chiesa e la sua azione pastorale? Affiorano, in queste pagine, sottolineature interessanti, capaci di far apprezzare pienamente la “cucina” di Gesù, fatta di cura, memoria del passato, creatività e rispetto.
Scrive Monsignor Pagazzi: «Perché tutta questa attenzione di Gesù alla fame e alla sete proprie e altrui? Poiché esse, con un linguaggio tutto di carne, non smettono di ricordare agli umani che sono figli e figlie, gente che vive perché riceve; solo così può dare». E ancora: «Il Salvatore non si accontenta di alimentare, nutrire, e nemmeno di ricevere il cibo, ma cucina, con l’attenzione che questo umanissimo gesto richiede verso le cose e le persone».