La fede è scommettere sulla parola di Dio.
In questa domenica la parola di Dio ci arriva da due vedove, in quanto tali, ultime nello scalino della società ebraica e per di più povere, che con la loro vicenda interpellano la nostra fede, interrogandoci: questi racconti sono da prendere sul serio, oppure sono favolette per devoti creduloni? In situazioni simili – ammesso che possano accadere – le due protagoniste sarebbero da imitare o da fare il contrario? Se sono un messaggio per i credenti, quale è o quale può essere?
Sarepta era un piccolo centro in territorio fenicio, vicino Sidone (oggi città del Libano sotto i raid israeliani) dove era in corso una grave carestia. Il profeta Elia, passando, chiese a una donna un po’ di acqua da bere, e «mentre quella andava a prenderla, le gridò: “Per favore, prendimi anche un pezzo di pane”». Alla seconda richiesta la vedova manifestò la sua tragica situazione: non aveva niente, tanto da decidere di consumare con il figlio l’ultima riserva di farina e di olio per poi lasciarsi morire. Il profeta, invece di commiserarla o di incoraggiarla, le fece una richiesta quasi irritante e sfacciata: «Prima prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio… dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà”». Così fece la donna e così avvenne.
Si può credere a storie come questa? Questa è fede o fatalismo? Può il Signore chiedere un azzardo così? Questa vedova è un invito alla rassegnazione e alla resa quando non c’è più niente e nessuno a cui aggrapparsi, oppure una testimonianza di fede autentica?
Dopo avere rivolto alla folla un severo invito a guardarsi dagli scribi, prigionieri delle apparenze, Gesù «seduto di fronte al tesoro [tredici cassette a forma di tromba sistemate sotto il colonnato del Tempio, accessibile anche alle donne] osservava come la folla vi gettava le offerte». Dal rumore che le monete producevano si poteva risalire alla quantità, perciò i ricchi ne gettavano molte, invece una vedova povera soltanto due monetine. Gesù non si lasciò sfuggire l’occasione. «Chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «"In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri… vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere"». Cosa sarà accaduto alle due monetine? Sicuramente non si saranno esaurite.
A noi, che a volte siamo o rischiamo di essere come gli scribi, le due povere vedove ricordano che la fede non sono verità astratte da credere, cerimonie e riti da celebrare, iniziative di carità da organizzare, ma accettare che non tenere per sé ma dare a Dio l’ultima focaccia e le ultime monetine garantisce che «la farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà», e che gettare nel tesoro del Tempio «tutto quello che si ha», anche se pochissimo, è più delle molte e rumorose offerte dei ricchi. Questa è la fede che, se ne abbiamo pari a un granello di senape, potremmo dire a un monte: «Spòstati da qui a là», ed esso si sposterebbe (Cfr. Mt 17,20). Con questa scelta a fondamento della nostra fede tutto il resto: idee, cerimonie, riti, preghiere, attività… diventa forza capace di spostare i monti.
“Magari la fede fosse capace di spostare i monti! Chissà quante volte lo abbiamo chiesto ai monti dei problemi, delle difficoltà, delle sofferenze, delle urgenze… e non è successo niente”. Come mai? Siamo stati capaci di comandarli sicuri che avrebbero obbedito, oppure la nostra richiesta conteneva un “se poi però…”, cioè un mucchietto di farina, alcune gocce di olio, una monetina trattenuti per noi nel caso il Signore non avesse mantenuto la promessa? Con il “se poi però…” viene a mancare la condizione per far sì che la farina e l’olio non si esauriscano, e le due monetine diventino l’offerta più grande che si può fare al Signore.